Le sculture greche e romane


Sei sculture, conservate presso il Museo, giunsero nei secoli scorsi ad alcuni privati di Bergamo, tra cui la famiglia Carrara, attraverso il mercato antiquario e passarono poi al Museo senza alcuna indicazione della provenienza originaria.

Un torso di efebo, in marmo greco, è una copia romana dell’opera giovanile di Policleto, il Kiniskos di Mantinea e si data alla prima metà del I sec. a.C.

Statua femminile in veste di Afrodite di marmo bianco, provenienza ignota, I sec. a.C.

Statua femminile in veste di Afrodite di marmo bianco, provenienza ignota, I sec. a.C.

Una statua iconica in veste di Afrodite, di marmo greco, è la replica di un originale rinvenuto nell’Agorà di Atene e databile al 400 a.C. circa, la cosiddetta Afrodite Valentini. È un’ottima copia, realizzata in un atelier di alto livello negli anni successivi al regno di Augusto; doveva raffigurare un importante personaggio femminile della famiglia imperiale, il cui ritratto è andato perduto.

La statua della cosiddetta Pudicitia, una denominazione derivante dall’atteggiamento di riservata compostezza che esprime questa figura femminile, è una delle più diffuse iconografie impiegate in ambito funerario e onorario per le statue ritratto, al cui corpo, eseguito a parte, veniva adattato il ritratto realistico della defunta. Rappresenta l’ideale femminile delle classi romane più elevate della tarda Repubblica, con un preciso significato etico e morale di compostezza e di raccoglimento. È un pregevole prodotto di scultura ellenistica, probabilmente di una bottega dell’area orientale del Mediterraneo ed è databile alla fine del II e ai primi del I sec. a.C.

Un torso di personaggio loricato, ossia con corazza di tipo ellenistico, apparteneva a un personaggio d’armi, probabilmente della famiglia imperiale.

La statua di un Palliato, l’unica con la testa ancora conservata, è uno dei pezzi più importanti della collezione. È un’opera di altissima qualità formale, eseguita parzialmente in marmo greco-orientale, da parte di un artista greco di grande bravura, che raffigura un personaggio romano, forse un condottiero, in guisa di uomo di lettere: lo si deduce dal rotolo di pergamena stretto nella mano sinistra e dalla voluta nudità dei piedi. L’atteggiamento pensoso del volto e i suoi stessi tratti, come anche il tipo di capigliatura, rivelano l’adesione a canoni figurativi della ritrattistica greca tardo-ellenistica. Questa scultura inoltre è di notevole interesse per l’uso di porzioni di marmo differenti, di cui quella maggiore apparteneva a una statua femminile semilavorata. La figura indossa il pallium che lascia scoperte solo le mani, le caviglie e i piedi. Si data alla prima metà del I sec. a.C.

Un personaggio maschile togato raffigura probabilmente un membro della classe senatoriale romana. Indossa infatti la toga exigua, la veste tipica dei magistrati romani secondo il modello più antico, e i sandali tipici dei senatori. Il modo in cui la toga si dispone attorno al corpo permette di attribuire l’opera all’età tardo-repubblicana, tra il 75 e il 50 a.C. È una statua onoraria o funeraria, prodotta in una buona bottega scultorea, per una committenza urbana o appartenente alle classi dirigenti di un municipio dell’Italia romanizzata.

Statua di Minerva in marmo., territorio di Bergamo, II sec. d.C.

Statua di Minerva in marmo., territorio di Bergamo, II sec. d.C.

Un’altra scultura, sicuramente rinvenuta nei dintorni di Bergamo, raffigura la dea Minerva, realizzata secondo schemi compositivi di tipo non naturalistico: le proporzioni sono distorte, la posa è rigida e innaturale e le pieghe del panneggio non corrispondono a criteri di verosimiglianza, ma di decorativismo schematico. Siamo in presenza di una statua di culto. Databile al II sec. d.C., è indirizzata a un un gruppo sociale locale, ai margini della cultura ufficiale del mondo romanizzato. Potrebbe provenire da un sacello suburbano di Bergamo.